18 marzo 2016

Recensione: The Last Witch Hunter

Ci sono film belli e film brutti. E poi ci sono i film paraculi, come The Last witch Hunter.

The Last Witch Hunter è uscito nelle sale in concomitanza con Halloween 2015, ed è una pellicola di budget medio-alto che ha per protagonista l'inossidabile Vin Diesel, un attore bravo, famoso e molto simpatico, specialmente nell'ambito della comunità geek poiché è nota la sua travolgente passione per i GDR e per D&D in particolare.


La trama del film, in sintesi, è la seguente: Colder è un guerriero inglese che nel 1200 fronteggia ed uccide la potente Strega Regina. Questa, prima di morire, lo maledice con il fardello dell'immortalità. Da quel giorno Colder diventa il Cacciatore di streghe per eccellenza e viene affiancato da un ordine segreto all'interno della Chiesa Cattolica: l'Ordine dell'Ascia e la Croce (sic!). Per farvela breve, la storia si sposta ai giorni nostri, dove una congrega di stregoni malvagi vuole resuscitare la Strega Regina. Ma Colder, anche grazie all'aiuto di una strega "buona" riuscirà a mandare all'aria i loro piani, dopo un colpo di scena finale forse inaspettato, ma davvero senza mordente.

Perché dicevo che questa pellicola non è né bella né brutta, ma semplicemente paracula? Perché è evidente, anche ad uno sguardo appena appena nutrito di cultura geek che si tratta di una operazione fortemente mirata su una fascia di utenza precisa: quella appunto degli appassionati di cultura pop fantasy e di genere.

Paracula la scelta di Vin Diesel nel ruolo del protagonista, icona geek per eccellenza, come dicevamo. Paraculissimo il cast dei comprimari: Rose Leslie (la bella Ygritte de Il Trono di Spade) nel ruolo della strega che aiuta Colder ed Elijah Wood (l'arcinoto Frodo di Peter Jackson) nel ruolo del Dolan, l'ufficiale di collegamento tra Colder e l'Ordine dell'Ascia e della Croce. Paracule le situazioni del film che, senza che spoilerare nulla, sono zeppe di citazioni più meno esplicite al mondo della cultura fantasy, lovecraftiana e videoludica. Il tutto condito dall'immancabile infornata di effetti speciali, senza infamia e senza lode, che giustamente non possono mancare in un film d'azione specialmente se a sfondo magico/esoterico.

Per un appassionato come noi, il film è mediamente piacevole. Non ha particolari sbavature nella trama e nella sceneggiatura, anche se entrambe sono poverelle; il livello di recitazione è tutto sommato alto, come è legittimo aspettarsi da bravi attori professionisti; la storia scorre via come un bicchiere d'acqua anche perché dura solo un'ora e tre quarti. In effetti non c'è niente che possa legittimare una stroncatura, ma il punto è proprio questo: The Last Witch Hunter è più un'operazione di marketing che un film in senso stretto; un'operazione mirata ad un bacino molto specifico di utenza che, a forza di essere stata profilata in rete, non ha (quasi) più segreti per le teste pensanti di Hollywood.

Purtroppo il risultato è sostanzialmente insapore: o meglio: ha un sapore di preconfezionato, precucinato e probabilmente anche di predigerito, perché davvero non presenta nessun accento.

Mi inquietano operazioni del genere, perché temo che alla lunga più che offrire prodotti mirati per una certa audience, queste pellicole contribuiscano solo a saturare e quindi a rendere sterile la nostra cultura geek.

Whispers of Dragons - epp. 106-110

continua...

15 marzo 2016

L'impero dell'immaginazione

Quella che segue è la traduzione di un estratto da Empire of Imagination: Gary Gygax and the Birth of Dungeons & Dragons, di Michael Witwer.


Dungeons & Dragons ha cambiato il mondo, ma in modi molto più articolati del solo impatto sui videogiochi e le tecnologie digitali. Infatti, anche se è lecito dubitare che D&D possa essere considerato appieno parte del mainstream culturale globale (come pure venne affermato nel 1983 quando D&D venne appellato come "IL gioco degli anni '80"), questo GDR e tutto ciò che da esso è derivato nel tempo ha avuto una enorme influenza su un gruppo inizialmente ristretto di persone che oggi chiamiamo geek. Sebbene questo termine non si riferisca solo ai giocatori di GDR, è indubbio che il gioco di ruolo sia l'espressione più archetipica della geekness. Ora, etichette a parte, resta il fatto che il popolo dei GDR è stato caratterizzato sin dagli inizi dal fatto di coltivare una miriade di altri interessi: la lettura, i primi computer, le tecnologie digitali, gli effetti speciali cinematografici e le arti performative. Ed è proprio questa nicchia iniziale di geeks che ha dato vita alle odierne generazioni di programmatori, scrittori fantasy, autori di videogiochi e persino star del cinema come il fantatico di D&D Vin Diesel. Insomma: D&D ha contribuito alla affermazione di quelli che oggi sono i leader dell'era dell'informazione.

Se avete mai giocato un FPS come Call of Duty, un MMORPG come World of Warcraft, un DRPG come Final Fantasy; se vi siete mai collegati ad un qualsiasi mondo virtuale come Second Life, o vi se siete immersi nell'universo transmediale de Il Trono di Spade ciò vuol dire che avete una familiarità quantomeno incidentale col mondo di D&D. In pratica, questo gioco seminale ha reso possibile l'attuale industria culturale pop, un mercato che muove ogni anno miliardi di dollari. D&D ha imposto la figura del geek nell'immaginario contemporaneo. Viviamo in un'era in cui essere geek è chic.

Dalla sua prima apparizione ufficiale nel 1974, D&D ha di fatto creato l'industria dei GDR da zero, tanto che è innegabile che qualsiasi gioco Gioco di Ruolo successivamente pubblicato risente in qualche modo della sua influenza. È solo grazie a D&D se negli anni abbiamo avuto Traveller, Il Richiamo di Cthulhu, Vampiri: la Masquerade, Pathfinder e tutte le successive edizioni di D&D stesso.

Rodney Thompson, co-autore della Quinta Edizione di D&D ha scritto:

C'è una ragione precisa se ogni autore di giochi americano cita D&D fra le sue fonti di ispirazione. D&D ha gettato le fondamenta del modo in cui i giochi e la cultura ludica contemporanea sono strutturati.

Già verso la fine degli anni '70 decine di case produttrici di giochi erano nate sulla scorta del successo du D&D. Oggi ce ne sono a centinaia. D&D ha ispirato giocatori e appassionati a prendere il testimone ed a portare l'esperienza del GDR al livello successivo. Tutto ciò non solo ha liberato un enorme flusso di idee e di creatività, ma ha anche - da un punto di vista strettamente pratico - creato nuove opportunità di lavoro e di professionalità.

Senza D&D non avremmo avuto i DGDR, né tantomeno i MMORPG. Il legame che questi giochi hanno col GDR dadi-e-matita è lampante; tanto più che sempre più spesso i GDR cartacei finiscono per approdare su computer e consolle, e viceversa. Ora, sebbene i GDR dadi-e-matita non sono mai riusciti a diventare un autentico fenomeno culturale di massa, DGDR e MMORPG - invece - ce l'hanno fatta eccome. John Borland e Brad King hanno affermato che D&D ha dato vita ad una nuova industria...

...favorendo la nascita di una comunità di persone che ebbero modo di scoprire le infinite possibilità creative offerte dai videogiochi. Nel tentativo di unire la loro passione per i GDR con quella per l'informatica, queste persone nel tempo hanno influenzato in maniera profonda tutta l'industria culturale globale; al punto che oggi ha cominciato a contendere ad Hollywood il primato della costruzione degli immaginari pop.

Partendo da semplici avventure testuali come Zork, i primi programmatori hanno sviluppato gli embrioni delle comunità di giocatori online, che all'epoca venivano chiamate Multiuser Dungeons. Questi videogiochi, ed i loro adattamenti multigiocatore, sono i diretti antenati di Might and Magic, Final Fantasy, Diablo, The Elder Scrolls, World of Warcraft, EverQuest, Star Wars: the Old Republic, Ultima, Eve Online, ma anche di una saga che nasce in Oriente come The Legend of Zelda. Consideriamo che, con oltre 10 milioni di iscritti in tutto il mondo, WOW ha una popolarità superiore a parecchie serie TV, anche famose.

Senza contare l'impatto che D&D ha avuto su altri tipi di videogiochi, come gli FPS. John Carmack e John Romero hanno creato partendo dalla suggestioni di D&D una pietra miliare come Castle Wolfenstein e il suo ancor più famoso successore Doom. Carmack e Romero erano - non a caso - appassionati giocatori di D&D. E davvero non c'è bisogno di chissà quale elucubrazione per ravvedere nel labirintico design dei livelli di Doom la forte impronta del modello di avventura a dungeon tipica di D&D; e lo stesso si può dire per le creature mostruose che popolano il gioco e per la gestione dell'equipaggiamento del protagonista.

7 marzo 2016

Recensione: The Sons of Uruzime

The Sons of Uruzime è un LibroGame digitale della Tin Man Games pubblicato nel 2015 per le piattaforme mobile iOS e Android, che trascina il lettore/giocatore in un vortice di orrori lovecraftiani di solida fattura.

La storia, ambientata all'inizio della grande crisi del 1929, ci vede nei panni di un giovane professore associato della Miskatonic University alle prese con la misteriosa sparizione di uno dei suoi studenti più promettenti. Mentre ci daremo da fare per cercare indizi sulla sorte del povero ragazzo, finiremo per trovarci invischiati in una classica trama dei Miti fatta di società segrete, innominabili orrori custoditi da oscure genealogie famigliari e arcani tomi esoterici.

A differenza di altri titoli della Tin Man Games, il motore di gioco di Sons of Uruzime è ridotto all'osso e non prevede lanci di dado. Il nostro personaggio è caratterizzato da due statistiche:

  • Skill, che misura la prodezza fisica.
  • Sanity, che indica la resistenza mentale

La Sanity, di fatto, funziona come un punteggio di vita del personaggio, dal momento che mentre possiamo procedere con l'avventura anche se raggiungiamo 0 Skill, esaurire l'ultimo punto di Sanity ci fa precipitare bel baratro della follia, conducendoci alla fine dell'avventura. In alcune occasioni sarà il testo a decurtare i nostri punti di Skill o di Sanity, ma più spesso saremo essere noi a scegliere di investirli per sforzarci di ottenere determinati risultati, di fatto sbloccando opzioni di scelta nel gioco.

Il LibroGame può essere giocato in due modalità:

  • La Adventurer che ci mette a disposizione un numero illimitato di segnalibri da piazzare man mano che giochiamo - un po' come quando infiliamo il dito tra le pagine di un LibroGame cartaceo, pronti a tornare indietro nel caso di un errore fatale.
  • E la Free Read, che oltre ai segnalibri ci offre la possibilità di tornare indietro di un numero a piacere di paragrafi ed inoltre di sbloccare anche le opzioni di scelta che richiedono oggetti che non abbiamo o eventi che non abbiamo innescato.

Completano il pacchetto il sistema degli achievement che invoglia il lettore a giocare il LibroGame più volte per conseguirli tutti e delle buone illustrazioni a colori di Willy Dupont, evocative e perfettamente in linea con l'atmosfera del libro.

La storia narrata non è particolarmente lunga ed è estremamente classica, il che significa che per un giocatore appassionato degli orrori chtuloidi non riserverà grandi sorprese o colpi di scena. In effetti, già dopo sei paragrafi io avevo intuito dove tutta la vicenda sarebbe andata a parare. Tuttavia la materia è elaborata con una certa freschezza e, soprattutto, l'autore Shaun Musgrave ha saggiamente scelto di non indulgere in paragrafi troppo lunghi, il che consente al gioco di scorrere con la giusta velocità e di invogliare la rigiocabilità alla ricerca dei vari finali possibili. In particolare, è molto buona l'idea di far emergere di quando in quando nella narrazione alcuni elementi che rimandano al clima sociale ed economico della Grande Depressione, elementi che aumentano il realismo della storia e le conferiscono uno speciale fascino. Non mancano, inoltre, alcuni piccoli enigmi ed un simpatico cameo nientemeno che del folle professor Herbert West; ma diversamente da quello che si può immaginare, il buon (?!) rianimatore compare stavolta nelle vesti di un nostro stimato collega e possibile alleato.

Sons of Uruzime presenta diverse instant death, alcune delle quali in realtà andrebbero più correttamente considerate come finali alternativi, dal momento che non contemplano la vera e propria morte del personaggio. Ma le opzioni che vi conducono sono tutto sommato intuibili con una certa facilità, e quindi possono essere evitate quasi tutte con un minimo di lettura attenta ed immersiva.

Al prezzo di €2.99 si tratta, a mio avviso, di un buon acquisto. Sons of Uruzime è davvero uno dei migliori titoli della Tin Man Games, perché sia per l'ambientazione che per il motore di gioco che per la lunghezza si indirizza a giocatori un po' più maturi che hanno - ahimé - minor tempo da dedicare al loro hobby preferito, ma che comunque vogliono poter giocare e terminare un nuovo LibroGame in un tempo accettabile.