23 gennaio 2021

Strano gioco, Professor Faulken...

Mi ero ripromesso di non intervenire più sulla questione delle polemiche infinte che stanno investendo ultimamente, ed in modo sempre più pressante, il mondo del gaming, riguardo la ridda di accuse e controaccuse di razzismo, sessismo, omofobia, gatekeeping e scarsa inclusività nel mondo del gioco. Tuttavia, la recente vicenda che ha interessato Daniele Tascini, uno dei migliori game designer a livello mondiale, mi ha convinto a fare un'ultima serie di considerazioni.

Cercherò di essere sintetico, per quanto possibile, ma avverto anche il desiderio di definire quella che, dopo lunghe riflessioni, ritengo davvero sia l'unica posizione che ha senso assumere di fronte a vicende del genere, sempre più frequenti e sempre più deliranti.

Cominciamo dalla fine, dalla conclusione alla quale sono giunto, e cioè che in questo folle gioco l'unica mossa vincente è non giocare, non prendere parte alle discussioni che si scatenano, soprattutto in rete; non perdere nemmeno un secondo a spiegare e spiegarsi, a puntualizzare, a cercare di ricostruire le vicende per come si sono realmente svolte, né a contestualizzare alcunché.

E questo per un motivo molto semplice: la forma del dibattito in cui sono intrappolate queste vicende è, per sua intima natura, illogica e perversa.

In una discussione normale e sana, si parte dai fatti, vi sono tesi e antitesi, c'è un dibattito nel merito, e c'è il rispetto di un metodo che porta a delle conclusioni. Possono essere le conclusioni che ci trovano concordi, o anche no, ma riusciamo a riconoscerne lo sviluppo dilaettico, logico e umano. Ma nel caso delle scriteriate polemiche che si scatenano sui giochi e sui loro autori, il meccanismo non è lineare, non conosce un sviluppo. Al contrario, è un percorso a spirale. Una spirale fatta di critica, critica della critica, critica della critica della critica, critica della critica della critica della critica... e così via. Una spirale che si stringe sempre di più e che finisce per stritolare merito e metodo del discorso, lasciando solo una poltiglia priva di qualsivoglia significato e approdo.

Illustriamolo questo meccanismo, per evidenziarne la crudele perversione, l'avvitamento a spirale verso il nulla cosmico.

FATTO: Tizia/o dicono qualcosa. Magari qualcosa di inopportuno, stupido e discriminatorio, o anche no. Magari qualcosa che viene estrapolato dal suo contesto, o anche no.

CRITICA: "Tizia/o è razzista/sessista/omofobo/suprematista, e chi più ne ha più ne metta.

CRITICA DELLA CRITICA: "Ma no! State decontestualizzando/fraintendendo Tizia/o. Questo è un classico esempio di cancel culture/qualchecosawashing/social justice war!"

CRITICA DELLA CRITICA DELLA CRITICA: "Guardate che continuare ad evocare la cancel culture/qualchecosawashing/social justice war è un modo per rimuovere l'esistenza di un problema reale, finendo per banalizzare le intenzioni di coloro che vogliono un mondo ludico più inclusivo ecc. ecc."

CRITICA DELLA CRITICA DELLA CRITICA DELLA CRITICA: "Eh, ma dire così serve solo a dare spago ad un furore distruttore che si nutre di qualsiasi cosa pur di ingenerare polemiche ed ostracismi.

E così via all'infinito. Inutile dire che, alla fine (ma quale?) di questo tritacarne perverso, i fatti, gli oggetti, gli stessi protagonisti del dibattito sono diventati solo frattaglie da continuare a trascinare per il mattatoio, più per un gusto del macello e del sangue in sé che per altro.

Per questo ribadisco che l'unica mossa vincente è rifiutarsi categoricamente di prendere parte a questo delirio, quale che sia la legittima opinione che ciascuno ha dei fatti.

Io lo capisco benissimo che può sembrare un forma di resa, una rinunzia a calcare il terreno del dibattito, finendo così per darla vinta a... (aggiungete l'oggetto dei vostri strali a piacimento), ma questa è l'immagine mentale sbagliata. Quello non è un terreno del dibattito, non è un luogo praticabile, è un fottuto banco di sabbie mobili! E nelle sabbie mobili non si pratica niente, non si dibatte niente. Nelle sabbie mobili si affonda e basta, quale che sia il motivo che vi ci ha portato, quale che sia la tesi che volete difendere, non c'è null'altro se non le sabbie mobili. È solo il miraggio del dibattito, solo la farsa del dialogo. Sono solo sabbie mobili, inghiottono chiunque ci entri. Punto.

E allora, questo è davvero uno strano gioco, in cui l'unica mossa vincente è non giocare.

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